Le Cavità Artificiali della Campania
Il Catasto è uno strumento amministrativo e organizzativo destinato alla gestione del patrimonio architettonico ipogeo.
Accatastare significa innanzi tutto elencare, ordinare e catalogare un numero più o meno elevato di unità sotterranee, secondo parametri oggettivi e condivisi, al fine di rendere immediatamente individuabili tutte quelle cavità regionali che si caricano di un interesse naturalistico, archeologico o culturale in genere.
Scheda Catasto CA da compilare e restituire a catasto_artificiali@fscampania.it
Il Catasto Cavità Artificiali della Campania collabora con la Commissione Nazionale Cavità Artificiali (CNCA) della Società Speleologica Italiana condividendo i dati sintetici con il Catasto Nazionale, la cui consultazione on line è facilitata dal progetto Web Information System (WIS) raggiungibile sul sito nazionale di riferimento, http://catastoartificiali.speleo.it
Le cavità antropiche, oltre a custodire eventuali reperti archeologici, possono risultare esse stesse beni architettonici di notevole valore culturale e scientifico.
La tutela e la valorizzazione del patrimonio architettonico, artistico e paesaggistico non possono prescindere da una puntuale e sistematica conoscenza degli ambienti ipogei d’origine antropica, soprattutto per quanto concerne l’inestimabile valore storico e la complessa geografia del sottosuolo della Regione Campania.
Il “patrimonio ipogeo” campano rappresenta un prezioso oggetto di studio e un’insostituibile testimonianza dello storico e radicato rapporto tra l’Uomo e il suo Territorio: tale rapporto si basa su un reiterato sfruttamento delle georisorse locali e un’auspicabile ottimizzazione della funzionalità del territorio stesso.
Inquadramento speleo-antropologico
Catasto delle Cavità Artificiali costituisce un fondamentale strumento per l’inquadramento speleo-antropologico del sottosuolo campano, le cui cavità sono ascrivibili a tutte le tipologie richiamate negli schemi classificativi convenzionalmente riconosciuti dalla Commissione Nazionale Cavità Artificiali (CNCA) della Società Speleologica Italiana (SSI):
- A – Opere idrauliche
- B – Opere insediative civili
- C – Opere di culto
- D – Opere militari
- E – Opere estrattive
- F – Vie di transito
- G – Altre cavità non classificabili
Molte cavità sotterranee campane sono state create ad hoc per la captazione, la conduzione, la conservazione e la distribuzione delle risorse idriche. Si tratta di opere idrauliche di inestimabile valore storico, culturale e
ingegneristico. Tra le più note attestazioni d’età antica è l’Acquedotto Augusteo, il cui percorso originario non è stato ancora individuato in tutta la sua interezza; esso captava l’acqua dal massiccio carbonatico del monte Terminio e la trasportava per quasi 100 km fino al porto militare di Misenum, dove ancora sopravvive un dei più suggestivi serbatoi romani: la Piscina Mirabilis. A questo si aggiungono altre opere storicamente rilevanti quali l’Acquedotto Carolino, di cui si sono riprese da poco le esplorazioni da parte della Federazione Speleologica Campana, l’Acquedotto della Bolla, l’Acquedotto del Carmignano, l’Acquedotto Giove ed altre opere di captazione molto interessanti quali i qanat di Faicchio, di San Marzano sul Monte Fellino, e delle Fontanelle a Roccarainola. Le diverse tipologie di opere idrauliche campane, molte delle quali slegate dai monumentali sistemi di trasporto, sono tutte oggetto di grande interesse storico e rappresentano articolati sistemi di cisterne, pozzi e condotte la cui conformazione fornisce importanti informazioni di valenza storica e tecnologica, soprattutto per quanto riguarda le capacità che gli antichi costruttori avevano di ottimizzare la funzionalità del territorio partendo proprio da una corretta gestione delle risorse idriche. Un esempio paradigmatico di queste capacità è riconoscibile nei sistemi di rifornimento idrico del Parco Archeologico delle Terme di Baia (Bacoli, NA), tuttora oggetto di un lungo studio o di alcune cisterne d’età antica individuate ancora sul litorale bacolese. La realizzazione dei diversi elementi che compongono un complesso idraulico d’interesse storico si concretizzava anche in fasi archeologiche diverse e l’analisi delle loro relazioni architettoniche e delle caratteristiche contribuisce a stabilire la correlazione tra differenti periodi storici. I sistemi degli acquedotti campani, inoltre, sono opere che rientrano in un progetto nazionale ambizioso, voluto dalla CNCA: La Carta degli Antichi Acquedotti Italiani, a cui la Campania partecipa con ben dieci complessi idraulici diversi, ascrivibili tutti a prima del XVIII secolo.
Nell’Isola di Ischia (estensione a mare del distretto vulcanico dei Campi Flegrei) affiora un materiale
ignimbritico noto come Tufo Verde, anch’esso, come gli altri materiali vulcanoclastici campani, utilizzato come lapideo ornamentale. Nel comune di Forio sono ben note le cavità ad uso abitativo scavate nei blocchi tufacei prodotti dai dissesti innescati dal sollevamento tettonico del Monte Epomeo, alle quali si aggiungono cavità meno conosciute, e non del tutto abbandonate, presenti lungo la cresta Pietra dell’Acqua-Monte Epomeo, e quelle ubicate ai piedi di questa, sull’altopiano della Falanga. Altre cavità adibite ad insediamento civile sono gli interessanti abitati rupestri di Zungoli (AV) ancora non presenti nel Catasto campano.
Le esigenze cultuali e funerarie degli insediamenti campani, sommate alla non poco influente realtà geomorfologica regionale, hanno predisposto le comunità locali a ricorrere non solo allo scavo di ipogei artificiali in rocce tenere, ma a sfruttare soprattutto cavità naturali presenti lungo la dorsale calcarea dell’Appennino campano. Vi sono numerosi esempi di santuari rupestri campani in cavità naturali: su 1122 grotte naturali censite dalla Federazione Speleologica Campana, ben 99 vengono antropizzate e sfruttate dalla comunità cristiana medievale; basti ricordare la ben nota Grotta di S. Michele a Olevano sul Tusciano (SA) o S. Michele ad Avella (AV). Dei 99 siti considerati, ben 85 sono in cavità naturali e “solo” 14 in cavità artificiali. Un complesso funerario e cultuale estremamente interessante risulta essere Prata Principato Ultra (AV); ricavato nel fronte SE del sistema Partenio-Monti di Sarno, il sito si caratterizza per essere nato catacomba tardo-antica per poi trasformarsi in basilica rupestre in età longobarda arricchita da un palinsesto pittorico che va dal IX al XII secolo. La basilica di Prata P.U. è uno di quei particolari contesti rupestri impiantati in una cavità di origine completamente artificiale, così come le chiese dei Santi e delle Fornelle a Calvi (CE), la chiesa di S. Nicola sul Monte Epomeo (Serra Fontana, NA) o la Cappella di S. Maria al Monte a Forio (NA). Questi santuari ipogei sono stati ricavati all’interno di peculiare materiale piroclastico tramite un progetto edilizio-ingegneristico che ha tenuto sicuramente conto dell’importante realtà geomorfologica locale. Un’altra opera di culto molto suggestiva è la Grotta di San Biagio a Castellammare di Stabia (NA): ubicata alla base della falesia del Pianoro di Varano (località nota per essere una delle maggiori concentrazioni di ville marittime romane di tutto il mediterraneo), fu realizza intorno al I secolo a.C., in concomitanza con le ville d’otium di Stabiae, mediante l’attività di estrazione dell’Ignimbrite Campana, materiale molto utilizzato nell’architettura storica napoletana. La cava permetteva l’accesso diretto a mare e dal VI secolo divenne luogo di culto e sepoltura, fino a quando, nel 1695, la chiesa fu profanata e lasciata in uno stato di abbandono e degrado. In essa sono contenuti pavimenti romani in opera musiva e affreschi di derivazione bizantina, datati IX e X secolo, posti sul lato sinistro della navata della chiesa e sulla parete retrostante il presbiterio. In Campania, oltre ai rilevanti siti di Prata P.U., Castellammare e Sessa Aurunca (CE), le ben più note e numerose testimonianze catacombali si registrano nella città di Napoli, senza dimenticare che le aree rupestri sfruttate a scopo per lo più cultuale sono comunque attestate in quasi tutta la regione la maggior parte delle quali non ancora messe a catasto.
Il caso dei Bunker di Cuma, realizzati tra il 1941 ed il 1943 per contrastare lo sbarco delle truppe angloamericane, rappresenta senz’altro l’emblema delle cavità artificiali campane per la categoria delle opere militari. Cuma continuò ad essere protagonista a pieno titolo delle vicissitudini belliche che interessarono nei secoli la storia di quest’area geografica; le strutture dei bunker del ‘900, infatti, si sovrappongono in alcune zone ad elementi architettonici antichi a dimostrazione di una continuità funzionale nel tempo non indifferente. Questi sono formati da un sistema di fortificazioni ipogee a più livelli, interconnesse tra loro, le quali attraversano il duomo lavico di Monte di Cuma, partendo dal suo basamento trachitico. Da non sottovalutare la documentazione di altri ipogei a destinazione bellica presenti nei Campi Flegrei o la stessa riutilizzazione delle cisterne antiche in ricoveri antiaerei nel centro antico di Napoli. Altra testimonianza interessante è il bunker dismesso sui Monti del Partenio (AV) utilizzato truppe NATO dal secondo dopoguerra in poi.
La Regione Campania presenta un’antica, articolata e ancor poco conosciuta rete di cavità artificiali, la cui distribuzione è notevolmente influenzata da fattori di natura strettamente geologica e geomorfologica.
Infatti, la genesi di gran parte di queste cavità è spesso riconducibile all’attività estrattiva in sotterraneo di materiali vulcanoclastici impiegati come lapidei ornamentali nell’architettura storica partenopea, quali il Tufo Giallo Napoletano e il Pipern).
In particolare, l’estrazione del Tufo Giallo Napoletano ha avuto più volte luogo direttamente sotto all’area di edificazione sfruttando la capacità di autosostegno dell’ammasso roccioso in maniera tale da riservare la superficie alle ordinarie attività antropiche e creare ipogei adibiti a depositi oppure utilizzati come cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. La coltivazione in sotterraneo del Piperno ha interessato gli affioramenti alla base della collina dei Camaldoli a Napoli dove l’unica cavità ancora accessibile è ubicata a Pianura, in località Masseria del Monte, di fronte alla quale è presente un’ulteriore cava non ancora esplorata in quanto l’ingresso è ostruito da detriti e rifiuti. Nel sito di Soccavo è presente un’altra cava sotterranea, anch’essa ostruita da materiali di risulta. Le opere estrattive dell’entroterra sono invece rappresentate da siti minerari dismessi in cui l’attività ha interessato rocce e minerali per l’industria. Tra questi ricordiamo: le miniere di bauxite dei Monti del Matese e di Monte Maggiore, le miniere di ittiolo dei Monti Picentini, le miniere di lignite di Acerno (SA) e le miniere di zolfo della Media Valle del Sabato, fra i comuni avellinesi di Altavilla Irpina e Tufo. Soprattutto le miniere costituiscono importanti casi di archeologia industriale, nonché ammirevoli opere di ingegneria mineraria che in futuro potrebbero essere soggette ad importanti progetti di recupero e di valorizzazione, non solo della miniera in sé ma anche di tutta la zona dell’indotto, che ospitava le strutture per lo stoccaggio del materiale o per l’alloggio dei minatori; un parco archeologico industriale che racconti la realtà antropologica di un territorio.
In Campania, soprattutto nel partenopeo, esistono numerosi esempi di gallerie utilizzate per il transito di merci e persone. Molte di queste opere sono state realizzate originariamente per scopi militari, pertanto trovano collocazione incerta nell’ambito degli schemi classificativi proposti dalla CNCA. Tuttavia possiamo citare alcuni esempi napoletani significativi come: la Crypta Romana del Monte di Cuma (Pozzuoli, NA), la Grotta di Cocceio (Pozzuoli, NA), la Crypta Neapolitana al cui interno trova alloggio anche la condotta dell’Aqua Augusta e il più recente tunnel Borbonico nell’area urbana napoletana.
G – Altre cavità non classificabili
Le cavità artificiali campane riescono ad essere presenti ancora una volta negli schemi classificativi preposti dalla CNCA, questa volta grazie alle cisterne d’olio del sottosuolo napoletane o alle peschiere delle ville marittime d’età romana.
Un importante lavoro di accatastamento sarà rappresentato in futuro anche dalla lunga serie di cavità costiere individuate in area flegrea. Al momento se ne è identificato qualche centinaio, di cui solo in parte si è riconosciuta la tipologia; esse sarebbero da mettere in relazione con altre strutture antiche sommerse che caratterizzano la costa flegrea notoriamente soggetta ai fenomeni bradisismici.
Tratto da:
GUIDONE I., IZZO F., 2015. L’importanza del catasto delle cavità artificiali in Regione Campania, in Atti XXII Congresso nazionale di speleologia “Condividere i dati”. Pertosa-Auletta (SA), pp. 639-644. Volume: Memorie dell’Istituto italiano di Speleologia, Serie II, vol. XXIX – 2015.